Felici contro il mondo. Le parole sono ponti per raggiungere la consapevolezza – Rubrica Entusiasmabili

Quanto contano le parole per descrivere la realtà?

Quanto conta avere esempi che possano ispirare per apprendere come leggere, interpretare e vivere la realtà che ci circonda?

Quanto è difficile diventare grandi senza perdere qualcosa di importante di noi?

Introduzione

Anni fa quando ho scoperto per la prima volta Enrico Galiano fu per caso. Una persona me lo ha prestato e mi ha assicurato che mi sarebbe piaciuto. E così fu. Fu amore a prima vista con il libro “Eppure cadiamo felici”.

Gioia mi fece entrare nel suo mondo poco alla volta e in pochi istanti mi vidi tornare adolescente con tutte le domandepauresbalzi di umoresogni di quel periodo. Anche se sono adulto ormai da un po’ di anni (un bel po’ direbbe qualcuno 😊) non ho dimenticato quel periodo così bello, brutto, complesso, vorticoso.

Non so come sia per chi mi legge, ma ho un ricordo agrodolce di quel periodo. Non posso sapere come possa essere stato per Gioia. È vero che è un personaggio fittizio. Ma è anche una persona verosimile che non dubito possa esistere in versione originale da qualche parte nel mondo.

Da adultipauragioiarabbiadisgustofiduciasorpresaaspettative, sono tutti ingredienti che cerchiamo di alleggerire nell’intensità con cui si manifestano. Non vogliamo che le altre persone ci vedano mentre viviamo questi stati, perché ci può far sentire nudi. O almeno così è stato per me a volte.

Eppure, l’idea di distogliere lo sguardo da quel che mi accadeva dentro l’ho imparato talmente bene nel tempo che a un certo punto non mi sono nemmeno più accorto di farlo in modo naturale e senza consapevolezza.

Felici contro il mondo

Enrico Galiano non soddisfatto di avermi svegliato con il suo primo libro dal torpore della mia adultaura con questa nuova opera mi trafigge ulteriormente. L’Adultaura potrebbe essere una delle parole inventate da Sara, uno dei personaggi più interessanti del libro, crasi tra adulto e paura.

Per me è una sorta di paura di scoprirsi adulti e divenire consapevoli che nulla può essere più cambiato. Relazioni che abbiamo perso che vorremmo recuperare, ma che nemmeno facebook può illuderci di poter rivivere. Lavori che avremmo voluto intraprendere e che non abbiamo nemmeno provato a cercare.

Diventare adulti può essere complesso o semplice. Chi smette di porsi domande può vivere in modo più semplice e ridurre al minimo le intensità emozionali. Può vivere alla giornata, senza pretese, con la consapevolezza che nulla può cambiare. Chi invece la pensa all’opposto e crede che si debba lottare ancora.

Io ho scoperto di essere stato tra quelli peggiori. Quelli che si ponevano solo le domande di cui conoscevano già la risposta. Per cui mi sembrava di vivere pienamente, mentre nella realtà stavo solamente vivendo una finta ricerca di significati e una falsa complessità. Nascondevo le verità che mi guidavano sotto un tappeto di finte domande.

Pensavo che le domande mi facessero strada, mentre purtroppo sceglievo opportunamente solo quelle di cui potevo gestire le risposte. Ripensandoci mi sento come lo struzzo che nasconde la testa sotto terra per negare quel che gli sta accadendo o, come direbbe Gioia, Straussmanöver, parola tedesca che significa:

“la strategia difensiva a breve termine di negare semplicemente l’evidenza.”

Prendersi un break

La lettura del seguito di “Eppure cadiamo felici” mi ha di nuovo scosso. Non so se farà questo effetto a tutti, perché ognuno ha un proprio vissuto personale e non a tutti colpiscono gli stessi stimoli. A me ha fatto riflettere molto perché ci ho visto un percorso evolutivo interessante dei personaggi.

Ogni personaggio ha un proprio posto iniziale. Un proprio punto di partenza. Una situazione che sembra definita e immodificabile. Poi arrivano gli incontri, scontri tra persone. Ogni relazione diventa stimolo di cambiamento e di evoluzione.

E tutto parte dalle parole. Dalla capacità di Gioia di intuire il potere delle parole e di usarle come collegamento con il mondo che osserva.

Nel coaching ontologico (il modello di coaching che ho studiato e che oggi accompagna ogni mia attività di sviluppo) le parole sono i break che ti permettono di generare l’inizio del cambiamento personale. La bravura del coach è individuare parole nel dialogo e, ove possibile, rilevare una configurazione significativa.

Serve trovare delle ricorrenze che ti permettono di restituire un feedback. Quando le hai trovate, è possibile restituire con un feedback il break percepito, lasciando poi al coachee la responsabilità di scegliere come elaborare quel break dentro di sé. Per darvi un’idea precisa di cosa intendo vi chiedo di pensare a come definite la parola “generosità”.

Se ripesco tra le definizioni più ricorrenti (scrivetemi pure la vostra, se vi va 😊), una molto diffusa è dare senza avere nulla in cambio. Nel darmi la definizione di solito la prima parte è sorridente leggera, mentre la seconda è dura quasi austera. Come se fosse grave se qualcuno ci restituisse qualcosa in cambio.

Sembra quasi che non saremmo più ascrivibili alla categoria dei generosi se qualcuno ci ricambiasse 😊 Magari mentre leggi sorridi, ma, in molte organizzazioni con cui collaboro, questo meccanismo interpretativo provoca tantissimi malfunzionamenti relazionali. Riduce l’entusiasmo che deriva da una rete di relazioni di scambio alla pari.

A questo punto scatta la domanda: “E quindi come la definirebbe la tua scuola di coaching?

La definizione è molto semplice e nella sua semplicità illuminante: “Dare lasciando aperta la porta del ricevere”. Prova a chiudere gli occhi e immagina l’effetto di una definizione così aperta e dolce, dove lo scambio è continuo, dove il sistema è sempre biunivoco.

Basta cambiare una definizione e il mondo può cambiare. I mondi possibili, come scrive Marianella Sclavi, sono tantissimi e dipendono dalle parole con cui sappiamo descrivere ciò che vediamosentiamo percepiamo. Io trovo questo punto di vista davvero illuminante. Le parole possono davvero essere ponti.

Parole come ponti

Il ponte è qualcosa di strutturale che permette di passare da un punto a un altro in modo sicuro e veloce. Ci permette visitare un luogo che altrimenti sarebbe più difficilmente accessibile. Le parole possono avere lo stesso scopo.

Non a caso, una delle competenze principali da allenare per diventare intelligenti emotivamente è legato alla scoperta del potere contenuto nelle parole che descrivono emozioni stati emotivi.

Non possiamo riconoscere le emozioni che proviamo se non sappiamo come descriverle a parole. Non avere un vocabolario emotivo riduce la nostra percezione autoconsapevole e la nostra capacità di navigare le emozioni. Ogni volta che ci accorgiamo di cosa proviamo riduciamo l’intensità emozionale riportandola a un livello gestibile.

Eppure, nella vita pochi adulti ci insegnano a raccogliere parole come fa Gioia nel suo quotidiano. Non per imparare a essere forbiti, ma per imparare a vivere pienamente la vita e ciò che ci accade dentro e fuori. Infatti, questa scarsità di parole per esprimere cosa abbiamo dentro si sta sempre di più diffondendo.

Gioia, la nostra cacciatrice di vocaboli, nel libro chiama questo depauperamento espressivo con il termine alessitimia. Nel libro ne parla in questo modo:

“In realtà sono tante le emozioni opposte che Gioia prova in questo momento: ma non sa dare loro un nome, specie senza il suo quaderno. La cosa strana è che, senza un nome, anche le emozioni si sono fatte più vaghe, meno forti, come annebbiate. È come se prima, con quel quaderno, potesse toccare il mondo con le mani: adesso solo con i guanti. Ironia della sorte, proprio fra quelle pagine finite in un cassonetto tre mesi fa, c’era la parola che descriveva esattamente questo: alessitimia. Una parola italiana, in questo caso, ma in realtà derivata dal greco: indica proprio l’incapacità di dare un nome a quello che si prova, una specie di analfabetismo sentimentale. La cosa brutta dell’alessitimia è proprio questa: se non sai come esprimere cosa provi, inizi a provare sempre meno.“

Diventare consapevoli di questo strano meccanismo che, all’inizio sembra proteggerci ma che, a lungo andare, ci sgretola da dentro, può aprire un break nel nostro cervello e nel nostro cuore.

Imparare a dare nomi alle cose può ri-attivare la modulazione emotiva e farci risentire vivi, capaci di accogliere sia la parte spiacevole che la parte piacevole delle emozioni. Tutto grazie al potere delle parole.

La variante Gioia

Nel dizionario ontologico, molte parole comuni vengono ritradotte in modo da allargare i punti di vista dei coachee. Gioia fa la stessa cosa ma in modo diverso. Raccoglie parole intraducibili in italiano su di un quaderno che porta sempre con sé.

Questa raccolta le permette di entrare nei mondi possibili dei paesi dove quelle parole sono nate e dove le persone che le usano percepiscono realtà che ai nostri occhi non esistono, perché non abbiamo parole per poterle descrivere.

Provengono da tutto il mondo e descrivono quel che per quella lingua conta di più. Non è un caso che nei paesi del nord Europa siano presenti molti più vocaboli per descrivere la neve. Dove noi vediamo un fiocco, questi popoli possono percepire diverse forme a cui attribuiscono diverse parole.

Un po’ come chi comincia il percorso per diventare sommelier. All’inizio la percezione è confusa, perché non abbiamo un dizionario preciso per descrivere le diverse sensazioni presenti nella nostra bocca e nel nostro naso. Poi poco alla volta la capacità di dare nomi alle cose trasforma la confusione in distinzione.

Come un SommelierGioia ci insegna quanto sia difficile vivere insieme alle mille sfumature distinte della vita, alle infinite domande che serve porsi per scoprirla fino a coglierne il midollo (lo so che sembra una citazione del professor Keating nell’Attimo Fuggente).

Allo stesso tempo ci regala la conferma che aprendoci alle esperienze di vita con curiosità e navigando le nostre emozioni (ecco perché è importante dare loro un nome) possiamo trasformarla dandole una direzione importante per noi.

Le parole diventano così una sorta di nuovi occhiali che ci liberano dalla nebbia e ci catapultano in nuovi mondi possibili dove il dialogo perde l’effetto dei pregiudizi e dove è possibile, quindi, parlare di tutto senza sentirsi offesi, senza dover attivare barriere emozionali (che spesso conducono all’aggressività).

Vedendo le discussioni che si stanno generando in questi giorni tra pro vax e no vax (Covid) inizio a pensare che il libro di Enrico Galliano sia proprio un segno del destino. Ci sta indicando una strada di dialogo diversaUna strada che passa per parole ed espressioni capaci di farci tornare a vivere in contatto (la variante Gioia).

Non so se esista una parola per descrivere l’alienazione da relazioni schermate da monitor che riducono il potere dei neuroni specchio e dall’assenza di parole emozionali utili per esprimere i dolori e le paure che stiamo vivendo ma di cui secondo me non ci si rende davvero conto.

Se esiste scrivetemela così la inserirò nel mio futuro vocabolario degli stati che vorrei riconoscere per poterli allontanare. Solo con questa nuova consapevolezza possiamo ritornare a dialogare con entusiasmoserenità e dolcezza anche di fronte a temi di difficile discussione.

Cosa mi sono portato a casa?

Gioia, il prof Francesco Bove, le paroleSaraLo sono entusiasmabili (anche le parole lo sono se riportano a provare emozioni) e mi hanno ricordato quanto sia complesso comunicare anche quando ci si vuole bene e si vuole il bene dell’altro.

Mi porto così a casa l’idea di leggere i libri citati da Enrico  Galiano al termine della sua opera e a investire tempo nel raccogliere io stesso parole che mi colpiscono e portarle all’interno dei miei percorsi formativi. Chissà che non diventi un modo diverso di introdurre la formazione.

Grazie Enrico Galiano per la storia che hai condiviso. Grazie ai tuoi studenti per averti convinto a crederci. Grazie per aver dimostrato che essere entusiasmabili non si significhi esser sempre allegri e felici, ma assomigli di più al concetto di pūangi:

“In lingua maori, quando senti lo stomaco andarti giù fino ai piedi, appunto perché sei in volo e c’è un vuoto di pressione o perché stai facendo il giro della morte sulle montagne russe.”

L’Entusiasmabilità per me è proprio questo. Stare in volo per raggiungere sempre nuove mete, per iniziare nuove avventure, per tornare alle proprie radici, imparando a convivere con lo stomaco sotto sopra. So che della storia di Gioia non ho minimamente parlato. L’ho fatto perché sono convinto che le persone debbano aprire il tuo libro e godersi tutto il viaggio, sentendo tutto il pūangi che genera in prima persona.

 

https://www.ibs.it/felici-contro-mondo-ebook-enrico-galiano/e/9788811002536