Navigare l’ansia e vivere da entusiasmabili

Perché esiste l’ansia?

Come navigare gli stati ansiosi?

I neurotrasmettitori … Che c’entrano?

Introduzione

Il termine ansia è molto usato. Alla domanda “Quali sono le emozioni che conoscete?” (mi occupo di formazione e coaching 😊), molti partecipanti che mi ritrovo in aula rispondono con la parola ansia. Non conoscono magari tutte le emozioni considerate di base, ma l’ansia compare molto spesso e tra le prime.

Il termine ansia deriva dal latino “angĕre” e significa stringere, soffocare. Si parla uno stato emotivo considerato sgradevole e, purtroppo, comune all’interno delle nostre frenetiche vite. Plutchik la considera un  mix emozionale causato dalla concomitanza di due delle 8 emozioni che compongono la sua ruota.

Da un lato la paura, ossia l’emozione che ci aiuta a scappare di fronte a un pericolo. Dall’altro l’aspettativa, ossia l’attesa di qualcosa che in un modo o nell’altro siamo convinti che possa accadere. In sintesi, chi prova queste due emozioni concomitanti, si aspetta che accada qualcosa di pauroso. Ecco l’ansia che viene fuori.

L’ansia produce molto cortisolo e direziona l’attenzione del nostro cervello, anzi dei nostri cervelli, verso possibili pericoli. Anche se non ne esistono di imminenti, anche se siamo sazi e nessuno ci sta per far del male, proviamo la sensazione una strana e fastidiosa sensazione di allerta.

Di libri sull’ansia ne sono stati scritti tanti. Qui voglio condividere quel che mi è rimasto dell’ultimo che mi sono letto. Non mi occupo di ansia patologica, ma nel mio lavoro incontro spesso persona che vivono secchiate di cortisolo dovuto all’ansia provocata da come viviamo il mondo del lavoro.

Sottolineo l’espressione “come viviamo” perché per quanto l’esterno ci possa dare stimoli ansiogeni, chi libera l’ansia è il nostro cervello e nello specifico i circuiti elettrochimici presenti all’interno della nostra scatola cranica. In realtà, non siamo in pericolo, ma viviamo in parte come se lo fossimo.

Tame your anxiety, addomestica la tua ansia.

È interessante osservare questo meccanismo da un punto di vista evolutivo. Da un lato, perché può darci un razionale del perché tutto ciò avvenga anche se sembra qualcosa di cui faremmo volentieri a meno.

Dall’altro, perché conoscerla più da vicino può spingerci gentilmente verso alcuni strumenti che possiamo utilizzare per lenire e navigare questi momenti così fastidiosi.

Ed è proprio questo il compito che Loretta Graziano Breuning si pone all’interno del suo libro “Tame your anxiety” (purtroppo per il momento non esiste l’edizione italiana). Cambiare il nostro modo di vivere l’ansia, diventando consapevoli di ciò che la regola in noi.

Ognuno di noi è diverso e per quanto il meccanismo di sopravvivenza degli esseri viventi sia uguale, le situazioni che possono indurla sono davvero eterogenee. C’è chi va in ansia per una presentazione in pubblico, chi per l’incapacità di gestire le scadenze, chi per la necessità di raggiungere obiettivi sempre più sfidanti.

Le origini dell’ansia

Loretta Breuning nell’introduzione del libro condivide come l’ansia possa toccare non solo sfere molto importanti della nostra vita, ma anche quelle davvero poco rilevanti. Infatti, cita una personale situazione che la mette in difficoltà che, difficilmente, può spaventarci a morte. Rimettere in ordine la scrivania 😊.

È vero che la descrive come piena di documenti e che la sensazione che prova nel guardarla la fa desistere quasi immediatamente dal rimetterla in ordine. Ma sicuramente non è in pericolo di vita. Per cui vien da sorridere quando pensiamo a una donna adulta che si ferma per una ragione simile.

Eppure, io condivido la stessa ansia 😊. Sono un po’ disordinato e, come aggravante, sono un accumulatore seriale. Non butto facilmente nulla e ho sempre paura che quel che butto possa servirmi in futuro. Anche adesso che mi guardo intorno so che avrei del lavoro da fare 😊.

Per quanto possiate regalarmi la convinzione che sia perché sono una persona creativa, sono sicuro che la spiegazione sia un’altra, molto simile a quella che ci offre Loretta Breuning. Nel suo specifico caso tutto nasce durante la sua infanzia. Da sua madre.

Sua madre, mentre puliva e riordinava, si arrabbiava costantemente in modo molto intenso. Una collera che difficilmente una bambina sente di poter navigare. Per cui nel cervello di Loretta (e per altre ragioni anche nel mio) si è connesso l’atto di pulire a uno stato di impotenza e sofferenza.

In programmazione neurolinguistica lo chiamano comunemente ancoraggio. In psicologia, condizionamento neuroassociativo (grazie Pavlov e Skinner per i vostri studi) . In pratica, è qualcosa che ci si attacca addosso in modo involontario e che, salvo correttivi successivi, ci condiziona per l’intera vita.

Ecco la prima fonte di ansia. Le esperienze della nostra prima infanzia. Purtroppo non ce le ricordiamo tutte, ma tante di esse hanno inconsapevolmente forgiato il nostro io di oggi. Sono gli ancoraggi inconsci frutto delle nostre esperienze a regolare le nostre reazioni inconsapevoli.

A che serve l’ansia

L’ansia come tutte le emozioni è una informazione. Un’informazione diventa utile quando sappiamo leggerla. Peccato che poco del nostro percorso scolastico sia dedicato a imparare a vivere bene e codificare i messaggi emotivi propri e altrui.

Quindi l’ansia cosa vuole dirci?

Probabilmente, ci sta solo avvisando che, all’interno della situazione in cui si forma, c’è un meccanismo che sarebbe meglio affrontare per renderci la vita più semplice e piacevole.

La cosa che più mi fa sorridere è che l’ansia è un costrutto emotivo presente principalmente negli esseri umani e solo in leggerissima parte nei nostri cugini più prossimi le scimmie. All’interno di tutte le altre specie di esseri viventi, il cortisolo si attiva solo quando serve veramente e poi viene espulso quando smette la sua funzione.

Se non avete letto “Perché alle zebre non viene l’ulcera?” ve lo consiglio vivamente perché l’autore parte dal racconto di quanto le zebre siano capaci di vivere sane, senza ansia, pur trovandosi sempre alla giusta distanza dai leoni. Vicine a sufficienza per poterli tenere sotto controllo, lontani a sufficienza per scappare senza rischi.

Le zebre non hanno cortisolo in eccesso, mentre noi esseri umani sì. Perché?

Cosa ci possono insegnare i nostri antenati

Secondo Loretta Breuning, è tutta questione di evoluzione. Sembra un ossimoro che l’evoluzione possa farci per certi aspetti involvere. Ma sembra che sia proprio così. La presenza della neocorteccia, sede della nostra capacità di pensare e riflettere crea a volte questo strano cortocircuito.

Il nostro cervello umano condivide con gli animali il cervello rettile, sede delle risposte istintive, e il cervello mammifero, sede delle sistema limbico che media la nostra elaborazione emozionale. A questi cervelli, l’evoluzione ha aggiunto la neocorteccia (sede dei pensieri razionali).

Avere la neocorteccia è una gran ficata, perché aggiunge un pizzico di follia alla nostra vita. Lo so sembra assurdo, ma a volte è proprio la nostra parte razionale a generare i cortocircuiti che ci fanno essere un po’ folli. E tutto parte dal fatto che è grazie a essa che possiamo creare codici linguistici, riflettere e prendere decisioni non solo di breve periodo.

Pensateci bene, una volta, bisognava essere pronti per sopravvivere in un mondo non proprio gentile. Le decisioni erano di breve periodo e orientate ai bisogni di sopravvivenza e sicurezza.

Combattere i nemici, trovare cibo cacciando o individuando piante commestibili, fare sesso per promuovere la continuità della specie. La vita era breve e tutto era vissuto nel qui e ora. Del domani non v’è certezza direbbe qualcuno, per cui meglio approfittare dell’oggi e risolvere quante più cose possibili 😊.

Gli antichi cacciatori, rispetto a noi oggi, avevano una predisposizione nel sostenere la fatica per lungo tempo. Tutto ciò grazie alle endorfine che produciamo quando siamo concentrati in qualcosa che ci assorbe pienamente.

Avevano capacità di convogliare la piena attenzione verso prede (o pericoli), grazie alla produzione di cortisolo (radar incredibilmente potente). Infine, l’assenza di cibo nello stomaco fa sentire la fame, producendo dopamina (reazione chimica che spiega il perché di alcuni disturbi alimentari).

Inoltre, più di noi, imparavano, facilmente, gli uni dagli altri grazie ai neuroni specchio, quella fascia di neuroni che ci permette di vivere l’esperienza dell’altro quasi fosse nostra. Questo aspetto era legato al fatto che lo stare all’interno del gruppo era un fattore chiave per difendersi e cacciare.

Pertanto, questa istintiva voglia di fare cameratismo era promosso a livello evolutivo dalla attivazione l’ossitocina, l’ormone della fiducia. Inoltre, imparare con gli occhi abilità favoriva l’acquisizione di comportamenti virtuosi in minor tempo. Ecco perché questa capacità veniva premiata dal rilascio di dopamina, l’ormone della ricompensa.

E il sesso?

Ditelo che mi sono dimenticato il fattore sesso. Ci sta un po’ di sana curiosità anche da questo punto di vista. Come funzionava il sesso all’epoca dei nostri antenati? Come si sceglievano le coppie? Davanti al focolare apparivano dei tronisti tra cui scegliere?

So che sembra io abbia abbassato il livello della conversazione parlando di tronisti, ma … Sì, c’è un ma. La scelta dell’accoppiamento avveniva secondo un processo di selezione basato su una scelta in cui l’amore aveva davvero poco a che fare. Un po’ come in tutto il mondo animale.

Tutto avveniva grazie alla presenza di un altro neurotrasmettitore, la serotonina.

Questa sostanza chimica regolava (regola 😊) il nostro bisogno di primeggiare, di essere più forti, più belli, più appetibili. Manca quando siamo in una posizione di debolezza e viene rilasciata (e ci piace un botto 😊) quando siamo in posizione di forza.

I duelli per l’accoppiamento avvenivano proprio per questa ricerca di soddisfazione serotoninergica, serviva per conquistare la posizione di potere e così la donna più forte dal punto di vista fisico. Quella che poteva dare maggiori garanzie di sopravvivenza del proprio lignaggio.

Bisogna capire a questo punto dove possiamo collocare il romanticismo in questo quadro non proprio poetico del funzionamento delle relazioni di coppia. 😊

E il romanticismo dove lo mettiamo?

Il romanticismo mi permette di raccontarvi come cambiano le cose quando l’essere umano decide di sfruttare maggiormente la propria testolina mettendo radici, coltivando e allevando animali. Questo cambiamento ha influito su diversi aspetti evolutivi della nostra specie.

Da un lato, il cibo ha permesso di aumentare il volume della nostra neocorteccia, moltiplicando le nostre capacità intellettive. Dall’altro lato, la possibilità di vivere in comunità ha permesso di diminuire molti dei principali fattori di rischio per la sopravvivenza e di dedicarsi anche alle dinamiche relazionali.

Ecco dove si innesta il romanticismo. Come fare a conquistare una donna all’interno di un villaggio? Come fare a farsi vedere da un uomo per essere scelta? Entrambi hanno bisogno di essere visti e di essere presi in considerazione. Insomma, assomiglia a una strategia di marketing relazionale. 😊

Come potete notare, anche in questa nuova configurazione stanziale, le cose cambiano nella forma, ma non nella sostanza. I nostri neurotrasmettitori continuano a influenzare le nostre scelte. E nella maggior parte dei casi lo fanno senza che la razionalità ci possa aiutare.

Tutto ciò perché molti dei solchi neuronali, le fasce di neuroni che sono state mielinizzate e hanno generato le nostre abitudini emozionali, funzionano sotto traccia.

Come in un programma del computer, molte routine non si vedono. Salvo che non si inceppino. E così funzioniamo noi. Infatti, molto spesso capita, di ascoltare racconti di coppie che sono state per tanto tempo molto affiatate e che un giorno si scoprono cambiate. In questi casi, tutto può venire in superficie.

Molto spesso, la sensazione è quella di vivere l’effetto di una brutta doccia gelata e di non comprendere più cosa si possa aver visto nell’altra persona quando ci si è innamorati.

Dove è finito il romanticismo che ci inebriava quando è scattata la scintilla?

Il romanticismo è qualcosa di bellissimo, poetico, ha fatto nascere opere incredibili. Ma, meno poeticamente, risponde al nostro bisogno di lottare per renderci più belli e più appetibili (serve per produrre serotonina) dei nostri competitor e risponde a modalità molto più istintuali di quanto non si possa credere.

In generale, tutto l’innamoramento è determinato dalla chimica dei neurotrasmettitori: abbiamo una inconscia necessità di connetterci con gli altri per il bisogno di sentirci in contatto (ossitocina) e di non morire (serotonina).

Come risolve un essere umano la paura di morire?

Come tutti gli animali, lasciando qualcosa di noi sulla terra. Nella versione più simile a quella animale, si possono avere bambini (chi meglio di loro danno continuità al nostro patrimonio genetico), altre volte è possibile sognare di lasciare un’eredità di tipo diverso che possa far apprezzare il nostro ricordo.

So che sembra tutto egoistico, ma è così che descrive Loretta Breuning le regole della sopravvivenza animale e dell’essere umano. E, da quanto ci racconta nel suo libro, forse è più utile farsene una ragione e approfondire come questi meccanismi influenzano le ansie, piuttosto che combattere questa posizione.

Quindi, cosa c’entra l’ansia?

Bella domanda. Ogni volta che i nostri bisogni non vengono soddisfatti, si attivano le nostre paure e iniziamo a entrare in un possibile stato d’ansia. Infatti, quando sentiamo la mancanza di qualcosa che ci aspettiamo, attiviamo il dolore e iniziamo a rimuginarci sopra (grazie neocorteccia!) attivando il cortisolo.

Un esempio potrebbe essere non trovare una dolce metà. Ci è stato instillato il dubbio fin da piccoli che essere zittelli non è normale. Eppure probabilmente alcune persone sarebbero state più felici da zitelle che accompagnate male.

Infatti, anche trovare una dolce metà sbagliata genera ansia. E finché non ci rendiamo di quanto la nostra ricerca sia viziata dal sentire la necessità di trovarla e dalle scorciatoie neurali acquisite nel passato non possiamo uscirne facilmente. E il rischio è di scegliere la persona sbagliata.

E, come potete immaginare, una vita con qualcuno che non fa per noi … genera ansia 😊

Paradossalmente le stesse dinamiche avvengono anche all’interno del mondo del lavoro. Replichiamo atteggiamenti vissuti quando eravamo piccoli senza accorgercene. Se, ad esempio nella mia famiglia ho imparato che non si possono esprimere i propri bisogni, ho imparato inconsciamente che è pericoloso farlo.

Così, quando un responsabile, magari, mi chiede più di quanto sono in grado di fare, rimango incapace di alzare la manina e chiedere aiuto, esprimendo in modo libero il bisogno che ho. Tra l’altro meno chiedo aiuto e più mi riempiono e più vado sotto stress. Cortisolo a palla!!!

Questo prolungarsi di situazioni del genere produce ansia non solo all’interno della persona, purtroppo. Anche chi ci sta intorno paga la nostra ansia, perché i neuroni specchio favoriscono la facile moltiplicazione  dell’ansia che diventa quasi un dovere avere negli ambienti di lavoro.

Disinnescare il nostro io bimbo

Quando si è piccoli, non si ha la capacità di distinguere in modo chiaro ciò che è veramente pericoloso da ciò che non lo è. Una litigata dove si alza la voce, per esempio, è sicuramente brutta, ma non porta facilmente alla morte.

Eppure, quando si è spettatori di scene di questo genere i bimbi spesso si sentono in pericolo e creano associazioni che impediscono uno sviluppo libero delle loro potenzialità. Cito un esempio personale, per rendere più semplice la descrizione di cosa accade.

Io odiavo discutere ad alta voce. Probabilmente a tanti non piace. Ma a me dava proprio ansia stare in presenza di persone dalla urlata facile. Tra l’altro mi bastava sentire alzare la voce leggermente alterata per sentirmi offeso, attaccato sul personale, non rispettato nelle mie idee e, per certi aspetti, forse, non visto.

Ho sempre pensato di essere nel giusto. Per educazione non si dovrebbe alzare la voce. Anche l’intelligenza emotiva mi confermava che urlare non era proprio un talento manageriale. Quindi, la colpa della mia ansia era il comportamento aggressivo dell’altro. Per tanto tempo, mi sono sentito vittima di questa dinamica.

Insomma, se gli altri avessero smesso di urlare, io sarei stato libero da quest’ansia. Poi un giorno, per tante ragioni, riflettendo sull’origine di questa mia ansia, mi sono reso conto di un fatto noto a cui avevo sempre dato poco peso.

Nella mia infanzia avevo avuto l’esempio di persone care che non litigavano spesso. Fin qui, ottimo dire. Ma … quando litigavano, finivano per non parlarsi anche per diverse settimane. Senza volerlo, mi sono reso conto del solco neurale che avevano scritto in me. Urlare, litigare, confliggere impedisce il contatto.

Ovviamente senza alcuna volontà. Avevano fatto il meglio che potessero con le risorse che in quel momento avevano. Ma io all’epoca … Probabilmente ho sentito il pericolo di quelle discussioni e ho appreso l’ansia da persona che urla e che poi si distacca, facendomi sentire solo.

Peccato che il mondo sia pieno di persone che alzano la voce e che usano la forza (verbale) per influenzare il mondo. Fortunatamente a bene guardare non necessariamente finiscono litigando e poi distaccandosi. Quell’ansia era solo nella mia testa, ero io a generarla e volevo togliermela.

La mia vita era condizionata da questo stato di allerta molto di più di quanto mi rendessi conto. Dopo averlo capito, però, volevo provare a cambiare. Ma come fare?

Disegna lo strumento di cambiamento giusto per te

Loretta Breuning ci aiuta proponendoci di creare uno strumento tutto per noi. Focalizzato sui nostri bisogni e sul nostro modo di vivere gli stati ansiosi e per rientrare in contatto con la bellezza dei nostri neurotrasmettitori.

Ovviamente, non esiste un modo giusto per navigare l’ansia perché ogni cervello si è forgiato con le esperienze di vita vissute. La buona notizia è che è possibile riprogettare i nostri circuiti e ritornare a uno stato di benessere, di equilibrio, dove lo stato d’ansia sia solo un’informazione da leggere e decodificare.

Ritornare in contatto con il funzionamento dei nostri neurotrasmettitori ci libera dalle catene che ci hanno imprigionato nel passato e fa scegliere per davvero la direzione che vogliamo prendere.

Scegliere la donna con cui vivere, il lavoro per cui siamo vocati, i rapporti che vogliamo costruire con le persone che abitano nella nostra vita (grazie team D.O.S.E.!!!!). Tutto può cambiare se diventiamo consapevoli e attiviamo lo strumento che abbiamo generato per noi stessi sulla base dei consigli di Loretta Breuning.

Ma che ci dice di fare Loretta? Quale sarà questa ricetta magica? Sarà qualcosa di complesso?

Loretta Breuning ha ideato un semplice modello a 3 step che possiamo ripercorre quante volte vogliamo ogniqualvolta ci sia utile per gestire una situazione ansiogena (da utilizzare in situazioni gestibili senza l’ausilio di uno psicoterapeuta e/o di un psichiatra):

  1. Step 1: Definite in modo chiaro e motivante l’equilibrio che volete raggiungere, individuando i vantaggi e benefici sia per il vostro cervello mammifero e sia per quello razionale (verbale).
  2. Step 2: Immergetevi in un’attività che vi piaccia e vi assorba completamente per 20 minuti in modo da distrarre il cervello mammifero dai segnali di minaccia che hanno attivato il circuito dell’ansia.
  3. Step 3: Prendetevi un minuto (60 secondi/00 né di più né di meno 😊) per programmare la vostra prima prossima azione, e impegnatevi per completarlo entro la fine della giornata, imparando a innescare sostanze chimiche utili per il vostro equilibrio, benessere, facendovi sentire sicuri.

Ognuna di queste 3 azioni attiva una parte dei nostri neurotrasmettitori. Ad esempio, connettere il momento di gestione dell’ansia a un obiettivo importante fa scattare la nostra serotonina (dandoci vigore e importanza).

I 20 minuti trascorsi svolgendo un’attività che ci piace attiva la dopamina, mentre il fatto che ci assorba completamente genera la produzione di endorfine.

Il cortisolo stesso tra l’altro ha un’emivita di 20 min (quando eliminiamo dall’attenzione la fonte d’ansia) possiamo davvero comprendere il beneficio che si porta dietro praticare un’attività che ci assorba completamente.

Ognuno ha la propria, non esiste una regola uguale per tutti. C’è chi disegna, chi canta, chi suona la chitarra, chi guarda serie tv o spezzoni di film, chi legge libri, chi fa passeggiate (Steve Jobs era uno di questi), …

Bisogna solo scegliere quella che più ci piace da praticare quando si è a casa e una più portatile da praticare in giro (portarsi dietro una chitarra non è sempre possibile 😊). Ti stupirai dell’effetto. Non si tratta di negare l’ansia, perché sarebbe controproducente. Ogni emozione bloccata prima o poi erutta.

Loretta Breuning, con il 2° step, vuole preparare il terreno perché possiamo tornare ad agire uscendo dal loop dell’ansia (3° step del modello).

Questi 20 min dedicati a noi ci portano verso un nuovo equilibrio temporaneo perfetto per passare al 3° step: scegliere di andare avanti con un piccolo passo da completare entro la sera stessa.

A volte potrebbe sembrare difficile, perché facciamo fatica a distaccarci anche dalle abitudini che ci fanno male. Fortunatamente, con un po’ di curiosità, sperimentazione e magari voglia di cambiare insieme a qualcuno che ci faccia da specchio nel processo, tutto diventa più semplice.

Grazie Loretta Breuning per avervi fatto entrare in modo così coinvolgente all’interno del tuo mondo. È stato per me un viaggio sorprendente ed entusiasmante (una viaggio perfetto per gli entusiasmabili!).

Grazie a tutti i miei compagni di viaggio D.O.S.E. che mi insegnano a superare i limiti del mio carattere grazie al continuo allenamento dei neurotrasmettitori.

Spero di avervi motivati alla lettura di questo libro un po’ tecnico e allo stesso tempo semplice. Spero presto di potervi segnalare l’uscita dell’Edizione Italiana.